Ex SLOI: la mozione del M5S per la ferita ambientale e sociale di Trento

Il Movimento 5 Stelle ha presentato ieri una mozione al Consiglio Provinciale nella quale Filippo Degasperi ricorda la storia della SLOI e chiede alla Provincia di impegnarsi su delle proposte che riguardano soprattutto la destinazione d’uso e la bonifica dei terreni inquinati in quello che è stato definito “il cuore nero di Trento”.

Da quarant’anni la politica trentina s’interroga su questa ferita aperta a Nord del capoluogo e
, come accade in questi casi, si preferisce presentarsi ai cittadini come degli storici invece che dei politici e continuare a parlarne come fosse un evento accaduto secoli fa. Invece i fusti pieni del velenoso piombo tetraetile sono ancora sotterrati nel sito della zona di Campotrentino in mezzo a centri abitati, ferrovia, corsi d’acqua, falde, strade e alle baracche delle “favelas” dei senzatetto. In questi giorni si terrà anche una mostra per ricordare la storia della SLOI ma, pur apprezzando l’iniziativa di chi prova a risvegliare le coscienze e a rinfrescare la memoria dei trentini, il Movimento 5 Stelle preferisce astenersi dalla politica dei luoghi comuni e delle solite promesse non mantenute. La Provincia non può attendere che le soluzioni arrivino da Roma e deve attivarsi con delle azioni concrete e attuabili in tempi rapidi e certi. Quindi, grazie a questa mozione, si vuole finalmente riportare nell’aula del Consiglio il dibattito sulla situazione della ex SLOI e mettere alla prova la maggioranza su una questione importante di salute e sicurezza pubblica che da troppo tempo è stata trascurata e che rimane legata a uno dei siti più inquinati d’Europa.

Ecco il contenuto della mozione.

“Sul finire degli anni Trenta la SLOI, impresa nata a Ravenna nel 1935 con l’obiettivo di sostenere la battaglia autarchica affrancando la chimica nazionale dagli impianti stranieri realizzò nella zona a nord di Trento uno stabilimento per la fabbricazione del piombo tetraetile (antidetonante per carburanti), del cloruro di metile, della soda caustica e dell’ipoclorito di sodio.

Raccontano le cronache del tempo che per i lavoratori (circa 250) furono predisposti “servizi sanitari ed igienici sufficienti largamente alle necessità”. Una “costante sorveglianza medica” avrebbe dovuto consentire di “seguire particolarmente ogni individuo e di evitare danni alle persone”. Ancora, le dotazioni dei singoli reparti avrebbero assicurato “condizioni di lavoro della massima tranquillità”.

Le storia purtroppo ci racconta una versione del tutto differente. Agli amministratori era ben nota l’estrema tossicità del piombo tetraetile dato che le cavie poste negli ambienti di lavoro a Trento nord morivano nel giro di 2-3 giorni. Anche gli operai probabilmente sapevano che il piombo uccideva ma alla SLOI le paghe erano buone e, nel Trentino misero di qualche decennio fa, le alternative non esistevano. Tutti morti giovani, un manipolo i sopravvissuti molti dei quali internati in manicomio dato che il piombo provocava gli stessi sintomi del delirio e della schizofrenia.

Terminate le esigenze belliche, dopo che per un certo periodo l’impianto era stato dedicato solo a acido cloridrico, soda caustica e ipoclorito di sodio, “stante la carenza di prodotto a livello mondiale”, a partire dal 1946 riprese la produzione di piombo tetraetile. Nel Dopoguerra, pur nella consapevolezza della pericolosità per l’ambiente e per la salute, lo stabilimento giunse già dal 1952 a garantire produzioni quattro volte superiori rispetto agli anni Quaranta.

Fu un incendio divampato in una notte del 1978 e la nube tossica che invase il capoluogo a portare alla chiusura della fabbrica il cui sito è abbandonato da allora.

Oggi vicino alla SLOI si abita, si lavora, si va al bar e dal giornalaio. Solo che, quando piove, nei garage interrati si infiltra acqua mista ad un liquido giallastro. E’ un luogo classificato nei “Siti di interesse nazionale”, perché si tratta di un’area tra le più inquinate d’Italia: qui riposa ancora il piombo tetraetile che non ha potuto impregnare le ossa degli operai.

Già, perché all’indomani della chiusura della fabbrica della morte si è cominciato a parlare di bonifica dei luoghi, ma un progetto serio non è mai stato portato avanti; ciò che invece è sorto è il quartiere del Magnete, con edifici residenziali, uffici, qualche negozio e un dolce declivio erboso  su cui gli abitanti del quartiere fanno giocare i bambini, e sotto cui molti sospettano riposi una discreta quantità di materiale inquinante.

Di regola, la bonifica dei siti inquinati precede la riqualificazione e la realizzazione di nuovi insediamenti. A Trento, sono state invertite le priorità. Prima l’edificazione e il ripopolamento, poi la bonifica.

Di bonifica dell’area si è parlato molto in passato e qualche progetto è stato abbozzato: i costi, elevatissimi, graverebbero sui privati proprietari dei terreni. In realtà, non si conoscono precedenti di bonifiche per i siti inquinati da piombo tetraetile. La falda acquifera che scorre verso la città nel frattempo espande progressivamente a sud l’inquinamento.

Il problema, sottovalutato e minimizzato agli occhi dell’opinione pubblica per decenni, è ultimamente interessato da un curioso fenomeno di “sostituzione”: nella scala delle priorità della politica, nell’informazione giornalistica e financo nell’immaginario collettivo, il problema dell’inquinamento di Trento nord ha ceduto spazio ed eco in favore di una diversa criticità: la piaga della microcriminalità e della desolazione urbana del Magnete.

Il nuovo imperativo è ora la “riqualificazione di Trento nord”, intesa come creazione di infrastrutture urbane e realizzazione di amene aiole fiorite a ridosso della citata collinetta.

Dunque, archiviata l’urgenza di affrontare il problema della esistenza nel cuore della città di Trento di un sito inquinato di interesse nazionale in nome dell’esigenza di provvedere alla  “riqualificazione” dello stesso, opera sicuramente meritoria,  ma a nostro avviso inscindibile da una riconsiderazione complessiva e globale del futuro urbanistico di una parte della città ancora gravemente inquinata, rimane invece attuale il progetto di bonifica delle rogge, per il quale, diversamente dall’area ex SLOI, non è necessaria l’approvazione del Ministero dell’Ambiente. Progetto quindi già approvato e per la cui realizzazione manca soltanto l’espletamento della gara europea.

La bonifica delle rogge, che interesserà tutta la città, avrebbe dovuto concretamente cominciare nel corso del 2014; la stampa locale informa che il progetto è slittato di due anni, perché al momento mancano i soldi.

I fanghi inquinati da piombo tetraetile ed altri agenti inquinanti saranno essiccati e trattati, prima di essere caricati sulla ferrovia ed essere sotterrati nel ventre delle ex miniere di salgemma in Germania.

Il luogo prescelto per costruire il centro di stoccaggio e pretrattamento dei materiali inquinanti è proprio il sito su cui sorgono i resti della SLOI. Le coperture e l’involucro della fabbrica sono state smantellate nel corso degli ultimi due anni, in modo tale da permettere la costruzione, al suo interno, del manufatto.

La Giunta Provinciale, con deliberazioni  n. 2542 del 16 novembre 2007 e n. 832 del 10/05/2013, si è pronunciata favorevolmente sulla compatibilità ambientale del progetto, condizionatamente al rispetto di alcune prescrizioni.

La costruzione della piattaforma per lo  stoccaggio e pretrattamento dei rifiuti sarà realizzata sulla base di un accordo, già stipulato, con i proprietari dei terreni su cui sorgono i resti della fabbrica.

L’accordo prevede l’utilizzo temporaneo dell’impianto, finalizzato al trattamento dei fanghi inquinati prelevati al momento della bonifica delle rogge.

La bonifica sarà quindi realizzata con denaro pubblico (le rogge sono demaniali), il nuovo centro di stoccaggio e pretrattamento sarà altresì pagato con denaro pubblico, ma il suolo dove sorgerà rimane di proprietà dei privati.

Sennonché, per l’operare del principio civilistico dell’accessione, tutto ciò che viene realizzato sul terreno di proprietà di un soggetto si incorpora nella proprietà del suolo, a prescindere dall’eventuale sostenimento di costi da parte del soggetto costruttore.

Ciò significa che l’impianto diventerà automaticamente proprietà dei privati proprietari dei terreni.  L’unico modo per neutralizzare il principio di accessione  è la costituzione e intavolazione di un diritto reale di superficie a favore del soggetto pubblico che intende costruire la piattaforma; a tal fine, un semplice accordo non può essere considerato un presidio giuridico altrettanto efficace.

Se il progetto complessivo non verrà modificato, le conseguenze potrebbero essere devastanti e fuori controllo.

Difficilmente si può pensare infatti che i privati proprietari provvederanno alla rimozione della piattaforma, una volta divenuti proprietari esclusivi dell’immobile, a fine bonifica delle rogge; d’altra parte, anche considerati gli elevati costi di realizzazionedell’impianto, non sembra ragionevole ed   economicamente sostenibile ipotizzarne  un utilizzo solo  temporaneo.

Si prospetta pertanto la concreta possibilità che, lì dove sorgeva la fabbrica della morte, venga insediato per entrare in funzione  in modo permanente un impianto di pretrattamento e stoccaggio di rifiuti tossici e pericolosi, di proprietà privata, dove potrebbero essere convogliati quantitativi ingenti di rifiuti di diversa provenienza.

La storia si ripete: così come  fu scelta  per la posizione strategica lungo l’asse del Brennero quando si trattò di decidere dove posizionare la  produzione di antidetonanti,  Trento nord appare ora fatalmente appetibile, anche per via del vicino passaggio della ferrovia, che consentirebbe l’agevole movimentazione verso le miniere della Germania dei materiali trattati. Non sorprende quindi che il progetto abbia avuto l’avallo del Ministero dell’Ambiente; la costruzione delle discariche e dei centri per lo smaltimento di rifiuti (pericolosi e non) è  altrove quotidianamente oggetto di aspri dibattiti e conflitti tra diversi piani istituzionali,  in quanto le Regioni, solitamente, si oppongono all’introduzione nel proprio territorio di impianti di questo tipo, anziché promuoverne la realizzazione.

In ogni caso, la costruzione di  un impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti pericolosi su un terreno già fortemente inquinato non sembra comunque nè corretta né opportuna, alla luce delle più elementari esigenze di tutela di sicurezza ambientale. La Direttiva 96/61/CE,  recepita con D.Lgs. 59 del 18.02.2005, e la Direttiva 2008/1/CE prevedono infatti l’effettuazione di controlli periodici relativi al suolo, all’aria e alle acque limitrofe agli impianti di trattamento dei rifiuti, atti a verificare che l’operazione di movimentazione dei materiali inquinanti sia svolta nel rispetto di parametri di sicurezza: nel caso di preesistenza di fattori inquinanti dell’ambiente tali controlli non potrebbero che essere vanificati dalla preesistenza di  parametri di riferimento
caratterizzati da valori già compromessi.”