Da Valsugana News n.8/2025
Del bullismo e da un po’ di tempo anche del cyberbullismo, se ne parla solo quando avvengono dei fatti di cronaca che colpiscono l’opinione pubblica, ma ora che sta iniziando la scuola, è proprio questo uno dei luoghi privilegiati del bullismo in tutti i suoi gradi, anche se, dalle ricerche fatte, è un fenomeno più presente nella scuola di primo e secondo grado.
Ma cosa s’intende per bullismo? Anzitutto ci deve essere un rapporto di forte squilibrio fra due o più persone e l’intenzione da parte del più forte di danneggiare il più debole; i comportamenti di sopraffazione, poi, devono essere ripetuti nel tempo. Non è bullismo quindi una litigata fra coetanei o giochi di lotta. Occorre dire che tra i maschi le prepotenze sono più visibili perché basate spesso sulla forza fisica che si può manifestare con calci, pugni, spintoni, oltre alle offese, alle parolacce e alle prese in giro, mentre nelle femmine il bullismo è più sottile, più nascosto. Lo riassume bene questa ragazza di una scuola professionale che, evidentemente, l’ha provato sulla sua pelle: “Quando le ragazze decidono di escludere qualcuno è peggio perché neanche ti sfiorano fisicamente; non ti parlano e tu senti che parlano di te, ma loro fanno finta di niente, poi s’inventano canzoni su di te e barzellette. In conclusione penso che sia peggio il bullismo femminile di quello maschile, anche perché in quello maschile può intervenire qualcuno, ma in quello femminile bisogna soffrire e accettarlo”.
In questi ultimi anni, poi, con lo smartphone a portata di mano fin dalle elementari, è ancora più facile: messaggini, foto, fotomontaggi… possono fare molto male e andrebbe comunque spiegato a bambini e ragazzi che, oltre al danno morale fatto ai compagni, possono incorrere anche in sanzioni penali.
Il luogo dove avviene la maggior parte delle prepotenze è la stessa aula e non i corridoi o il cortile come si potrebbe pensare. Gli altri luoghi più gettonati, ma fuori dalla scuola, sono soprattutto: la corriera, il bar, i luoghi di attesa della stazione…
Il bullismo è soprattutto un fenomeno di gruppo. C’è infatti il bullo e ci sono gli spettatori più o meno passivi, anche se molti compagni esprimono fastidio e rabbia di fronte a certi episodi, ma non li manifestano per paura di diventare a loro volta vittime oppure per timore di essere esclusi dal gruppo.
Ma chi è il bullo? È un ragazzo portatore di un disagio, di un malessere dovuto, in genere, a problemi familiari. Anche se sembrerebbe l’opposto, come spiega bene il pedagogista Daniele Novara, “il bullo è un debole che non è in grado di riconoscere le sue parti fragili e quindi nel momento in cui una possibile vittima gli fa balenare la sua fragilità, cerca di aggredire nella vittima ciò che non riesce a sopportare di se stesso”. Semplificando, è un ragazzo che è stato trascurato dai genitori o che ha ricevuto un’educazione troppo permissiva e tollerante e che è stato lasciato a se stesso senza regole e limiti che sono la premessa per condotte aggressive. O, al contrario, esce da una famiglia in cui vige un’educazione autoritaria che ricorre a punizioni fisiche o a violente esplosioni emotive che vengono poi imitate dal ragazzo e agite sui compagni più fragili. In un clima fortemente protettivo, invece, si pongono le basi perché i figli diventino vittime dei coetanei.
Tenuto conto che ogni insegnante dovrebbe sapere che i contenuti disciplinari passano molto meglio in un clima di classe emotivamente sereno, disteso e collaborativo, cosa si può fare per debellare questo fenomeno? Bello sarebbe, perché non succede in tutte le scuole, se il tema bullismo rientrasse in un progetto d’Istituto che coinvolgesse tutte le componenti e le risorse umane della scuola o che ci fosse almeno un insegnante pedagogicamente competente e riconosciuto dagli altri docenti che si prendesse a carico il problema.
Ma nel caso non ci fosse questa attenzione al fenomeno, dovrebbe esserci negli insegnanti più sensibili la consapevolezza che loro sono dei modelli e che a fianco del curricolo insegnato c’è un curricolo latente fatto di un certo stile, di sguardi, di gesti, di relazione umana. E poi l’attenzione andrebbe posta anche sulle dinamiche di classe facilmente rilevabili con un sociogramma. Per individuare poi velocemente casi di prepotenza nella classe, si può consegnare ad ogni alunno un foglio e fargli scrivere i nomi di tre compagni e di tre compagne che: uno, hanno molti amici; due, sono felici a scuola; tre vengono spesso presi di mira dai compagni; quattro, se la prendono spesso con dei compagni. Il nome di una stessa persona può essere indicato in più di una delle quattro voci. Gli alunni che sono stati nominati regolarmente in una o in entrambe le due voci finali, le vere che interessano, è molto probabile che siano rispettivamente vittime e bulli della classe.
Come si dovrebbe intervenire? Le punizioni lasciano il tempo che trovano. Molto meglio focalizzare l’intervento sulla risoluzione del problema che sull’attribuzione della colpa facendo presente che il bambino/ragazzo vittima sta vivendo male e chiedendo al bullo e agli eventuali compari come si può risolvere il problema. Verificare poi che la soluzione proposta venga rispettata ascoltando periodicamente la vittima e complimentandosi o meno con i bulli. Questa attenzione permette di lavorare in un clima di classe più rilassato e sereno che va a beneficio di alunni, insegnanti e della didattica.
a cura di Paolo Degasperi, psicopedagogista e sociologo
Per chi volesse approfondire e documentarsi meglio, metto un po’ di bibliografia.
– Daniele Novara, “I bulli non sannolitigare”, Carocci ed., Roma, 2007
– Sharp S. Smith P.K., “Bulli e prepotenti nella scuola”, TN, Erickson, 1995
– IPRASE TRENTINO, “Prepotenti, vittime e spettatori”, 2003
– Fonzi A., “Il gioco crudele”, FI, Giunti, 1999
– Iannacone N., “Né vittime né prepotenti, La Meridiana, Molfetta, 2007
– Iannacone N., Stop al cyberbullismo”, La Meridiana, Molfetta, 2009
– Olweus D. , “Bullismo a scuola: ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono”, FI, Giunti, 1996
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