Genitori e figli per la crescita mentale e fisica

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Arriva l’estate ed è tempo di vacanze, di voglia di stare all’aria aperta, di maggior tempo libero, di sport praticato da adulti, ragazzi, bambini. Attività importantissima lo sport anche per contrastare due grandi emergenze tipiche del cosiddetto mondo sviluppato; l’aumento preoccupante dell’obesità infantile e quella dei disturbi legati alla prolungata esposizione ai media elettronici.

Se da noi in Trentino-Alto Adige non è ancora emergenza, è anche grazie al fatto che la maggioranza dei nostri bambini pratica attività sportive.

Personalmente ritengo che per l’età della scuola materna e della scuola elementare lo sport dovrebbe essere puro divertimento e non competizione.

Se un bambino capisce che i genitori vogliono la medaglia, il divertimento si trasforma in tensione e paura di non farcela.

Spesso, infatti, i genitori proiettano sui figli i loro sogni di gloria; adulti cioè che avrebbero voluto emergere nello sport e non ci sono riusciti o che non riescono a tenere a bada il loro narcisismo e quindi usano i figli per ben apparire.

Desiderare che il proprio figlio abbia successo nella vita è normale e anche legittimo, ma come genitori dobbiamo sorvegliarci perché questo desiderio non diventi un carico opprimente e ansiogeno sulle spalle dei nostri figli.

Dando troppa importanza al successo, gli adulti creano nella mente del bambino la connessione tra autostima e risultato e ciò è pericoloso perché se vengono a mancare i risultati crolla automaticamente anche l’autostima. Se appaiono nel bambino dei disturbi psicosomatici come mal di pancia, vomito, insonnia, tic nervosi, il mangiarsi le unghie, il tornare a bagnarsi la notte… in corrispondenza di qualche attività sportiva occorre che i genitori si facciano un bell’esame di coscienza e compiano un bel passo indietro.

È infatti anche a causa di un clima famigliare opprimente che, raggiunta l’adolescenza, molti ragazzi mollano la pratica sportiva perché capiscono di non poter eccellere o semplicemente per scrollarsi di dosso i genitori con tutto il carico delle loro aspettative.

Statisticamente – scrive lo psicologo sportivo Pietro Tabucchi – i campioni con alle spalle il genitore che li ha “spinti” rappresentano una piccola eccezione rispetto al numero di potenziali campioni bruciati da genitori troppo “presenti”.

Oggi, purtroppo, si tende a puntare troppo precocemente sulla competitività e la specializzazione non lasciando ai bambini il tempo di praticare più sport per capire quale gli è più congeniale e per dare loro il tempo di maturare e crescere.

Questo è un altro motivo di abbandono perché i bambini e i ragazzi che non eccellono vengono emarginati, non vengono mai fatti giocare e così si scoraggiano e lasciano.

Occorre che allenatori, tecnici, dirigenti e amministratori si pongano questa domanda: lo sport deve essere finalizzato solo a creare campioni o va visto innanzitutto come un’importante esperienza educativa? Dev’essere selettivo o inclusivo?

Credo che oggi come non mai ci sia bisogno di sostenere ogni agenzia che favorisca relazioni vere e non virtuali ed educhi all’amicizia, alla tolleranza, all’accettazione del diverso, al rispetto degli altri e lo sport, dopo la famiglia e la scuola, è il luogo privilegiato a coltivare queste qualità fondamentali per una sana crescita umana e sociale.

La sfida, oggi, è quella di saper conciliare con lungimiranza e intelligenza un sano spirito competitivo con il rispetto dei tempi e delle qualità di ciascun bambino o ragazzo in modo da valorizzare l’impegno, la passione e la partecipazione di tutti.

Poi, se qualcuno emerge avrà l’attenzione e la cura necessarie, ma non a discapito di tutti gli altri. Giusto valorizzare le abilità tecniche di qualcuno, ma non vanno dimenticati i molti aspetti educativi che lo sport può insegnare e cioè le capacità prosociali, la conoscenza dei propri limiti, ma anche dei propri punti di forza, la tolleranza alle frustrazioni, il piacere dello stare insieme, la condivisione di gioie e delusioni che devono riguardare ogni ragazzo e non solo i più dotati.

Questa è la scommessa che ogni allenatore, in particolare, dovrebbe vincere, consapevole che la sua è una figura di riferimento molto importante soprattutto con l’arrivo della preadolescenza quando i ragazzini sentono il bisogno di staccarsi dai genitori per cercare una propria identità. Lo sport, in questo, li può aiutare molto sia perché favorisce l’incontro-confronto con i coetanei sia perché li mette a contatto con altri adulti significativi come può essere, per l’appunto, un allenatore.

Una persona che sia attenta ai valori sopra accennati, che sappia incoraggiare più che rimproverare e lodare i suoi piccoli atleti soprattutto per l’impegno e non solo per i risultati.

a cura di Paolo Degasperi, psicopedagogista e sociologo

 


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