IL BABY BOOM E’ ORMAI UN RICORDO

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Da “Valsugana News” 3/2024 di Paolo Degasperi

Parafrasando il titolo di un famoso film, si può dire che il nostro sta diventando un Paese per vecchi. Il 2020, infatti, è stato, in l’Italia, l’anno con la minima natalità.

Il fenomeno viene di solito attribuito a cause economiche che frenerebbero le giovani coppie dal mettere al mondo dei figli, la mancanza di un lavoro stabile, i bassi salari e gli alti affitti, la scarsità di asili nido e il loro costo (perché le scuole materne sono gratuite e gli asili nido no?), il carente sostegno dello Stato che paga stipendi milionari ai suoi manager o assegna pensioni assurde o addirittura più pensioni a persone con un piede nella fossa e si dimentica di sostenere le giovani vite.

Ma in realtà è passato da un pezzo il solido ottimismo o la buona dose d’incoscienza, per dirla con la psicologa Colette Chiland, che induceva molte coppie ad avere figli.

Il picco della natalità in Italia risale infatti al lontano 1964 (il baby boom) quando nacquero 1.016.120 bambini e i nati furono 526.000 più dei morti. Anche in provincia di Trento in quell’anno ci furono quasi il doppio dei nati rispetto ai morti: esattamente 8.079 nati contro i 4.648 morti, + 3431. Ma già nel 1984, cioè solo vent’anni dopo, il saldo naturale, cioè la differenza tra il numero dei nati e il numero dei morti, fu negativo con 4150 nati e 4811 morti, -661, e molto peggio è andata nel 2022 con 4011 nati e 5434 morti, -1423 (dati ISPAT). Analizzando i dati dei tre principali comuni della Valsugana, Pergine, Levico e Borgo, in questi ultimi vent’anni, la tendenza è confermata. Nel 2022, infatti, c’è stato un saldo naturale negativo sia a Pergine (172 nati, 188 morti, -16) sia a Levico (55 nati, 101 morti, -46) come pure a Borgo (57 nati, 72 morti, -15). In Italia, ci salva l’immigrazione straniera che è presente anche nelle nostre Valli, ma da noi è più importante quella da altri comuni.

Il sociologo Domenico De Masi, da poco scomparso, sosteneva, in un articolo intitolato “Una repubblica fondata sui gatti” che, a suo parere, il motivo della bassa natalità non è più ascrivibile alla sola motivazione economica, ma a una questione culturale e lo dimo- strerebbe l’incremento di giovani coppie che preferiscono adottare un animale anziché mettere al mondo un bambino.

Una considerazione a cui ero giunto anch’io già da un po’. Amando passeggiare, osservo infatti da qualche anno un aumento esponenziale di persone singole o di coppie che si accompagnano a uno, due, tre o anche quattro cani e nessun bambino e ho pensato che il preferire questi amici sia ormai una scelta. Sì perché poi c’è l’amico gatto, assurto in certe case a divinità come nell’antico Egitto o il coniglietto, il maialino, il serpente e chi più ne ha più ne metta. In certi casi penso sia un più o meno inconscio esperimento di accudimento: – Se riesco ad allevare un animale, riuscirò anche a crescere un bambino -. E si vedono talvolta delle giovani mamme spingere una carrozzella tirandosi appresso un cane al guinzaglio.

Ma in molti altri casi, si è proprio rinunciato a fare figli e questo è un fenomeno non solo italiano. Alla fine del 2022, Eurostat (l’Istituto di statistica europeo) ha censito circa 190,5 milioni di famiglie nella UE: tre su quattro, il 75,3% di esse non hanno figli. Ora, oltre alle motivazioni economiche e culturali di cui parlavo sopra, credo che le ragioni vadano cercate anche altrove. Un animale è meno impegnativo di un figlio e l’esempio di certi bambini insopportabili che ormai si vedono un po’ dappertutto, può scoraggiare qualche giovane coppia dall’averne uno. In caso poi di ferie, viaggi o assenze prolungate, un animale si può sempre appoggiare, un bambino no, soprattutto nei primissimi anni e oggi molti non sono più disponibili a certe rinunce.

Il futuro, poi, è sempre più vissuto come minaccia che come promessa: abbiamo un pianeta malato al cui capezzale pochi hanno voglia di sedersi, per cui: – Che futuro avranno i nostri figli? Anche no -.

E poi la donna oggi vuole giustamente realizzarsi in un lavoro, avere un’indipendenza economica, fare carriera e un figlio può essere d’intralcio.

E poi per motivi di studio, di lavoro ci si accoppia tardi, troppo tardi per avere un figlio o si decide al massimo per uno.

E allora chi lavorerà, chi pagherà le pensioni ai vecchi, chi svolgerà le mansioni più umili? De Masi è ottimista e dice che le nuove tecnologie suppliranno la mancanza di forza lavoro e se ciò non bastasse “invece di fare figli e foraggiarli per 25 anni prima che arrivino all’età lavorativa, c’è a disposizione un esercito industriale di riserva fatto di giovani immigrati già pronti a lavorare e a basso costo”.

Intanto, molti dei nostri giovani, spesso i più preparati e intraprendenti, se ne vanno all’estero perché da noi vale meno il merito della raccomandazione mentre i nostri immigrati sono soprattutto giovani con bassa scolarizzazione, a parte poche eccezioni.

Ma a dispetto di chi li vede come una minaccia, abbiamo bisogno anche di loro, altrimenti chi svolgerà i lavori più umili che i nostri ragazzi non vogliono più fare? Anche perché, in Italia, tra vent’anni, saremo 3 milioni in meno (da 60 a 57) e la popolazione mondiale passerà dai 7,5 miliardi di oggi agli 8,6 del 2040 e se continuiamo a sfruttare e impoverire gli altri continenti, il travaso sarà inevitabile, e, visto l’invecchiamento del nostro Paese e non solo, anche necessario.

 

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